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A solo titolo esemplificativo, nel programma andato onda il pomeriggio del 25 marzo, quasi mezz’ora è stata dedicata ad un’intervista al noto attore Franco Nero intrattenendosi la presentatrice ad elencare tutte le tappe della prestigiosa carriera dell’illustre ospite. Senza minimamente mettere in dubbio le sue indubbie qualità, mi sembra, comunque, lecita questa domanda: cosa c’entra parlare così diffusamente di Franco Nero in una trasmissione a sfondo dichiaratamente religioso, dedicando, solo alla fine del programma (di circa un ora) davvero pochi secondi ad uno scarno ricordo al contenuto del brano evangelico della successiva domenica che riguardava uno dei più sconvolgenti miracoli di Gesù (la resurrezione di Lazzaro, la cui semplice lettura avrebbe richiesto diversi minuti) che, così, ne risultava, invece, quasi insignificante.
Non è ben chiaro quali motivazioni abbiano portato alla sostanziale modifica del contenuto della suddetta rubrica; senza voler minimamente mettere in dubbio il fatto che le “opere buone” non costituiscano valori esclusivi del credente e, pertanto, possono benissimo, e con la stessa obbiettiva valenza, essere poste in essere anche dal non credente, è indubbio il pericolo che l’offuscamento, da parte dei credenti, del radicamento di quei valori nella persona di Cristo fa perdere la connotazione di “cristiani” a quei valori che rimangono, così, privi di un valido sostegno senza una necessaria e forte motivazione che solo una convinta fede religiosa può fornire, con la conseguenza della perdita della stessa fede per la sua insignificanza.
I suddetti pericoli che insidiano il mondo cristiano risultano ben sintetizzati dal compianto Cardinale Giacomo Biffi, il quale, nella nota pastorale “Christus hodie” del settembre 1995 (che appare anche oggi di estrema attualità) così scriveva: “ I discepoli di Gesù – stanchi del pesante onere della testimonianza al Crocifisso risorto che viene loro affidata nel battesimo – ridotti a parlare di pace, di solidarietà, di
amore per gli animali, di difesa della natura; il messaggio evangelico identificato nella ricerca del benessere e del progresso; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità, scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo. Ovviamente non si tratta di colpevolizzare o ritenere inutile l’attenzione ai “valori”: valori, beninteso, visti non come consecutivi (che sarebbe giusto) ma come sostitutivi dell’adesione alla persona di Cristo e al suo mistero salvifico. Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale ed informale a Cristo e al suo mistero: e anche nel cristiano questi stessi valori possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata adesione a Gesù, Signore dell’universo e della storia. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il fatto salvifico nell’esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, e consuma a poco a poco il peccato di apostasia”.
Sempre nel citato documento, il cardinale Biffi faceva presente che le suddette affermazioni le aveva riprese dal filosofo russo Vladimir Sergeevic Solovèv. A proposito di quest’ultimo riferimento, mi limito a trascrivere alcuni passi tratti dal testo dell’intervento del suddetto Card. Giacomo Biffi al convegno “La passione per l’unità” del 4 marzo 2000 su Vladimir Solovev che sembrano davvero scritti nei nostri giorni.
“Nell'ultima pubblicazione , “I tre dialoghi” e “il racconto dell'Anticristo”, opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900 … è stupefacente la perspicacia con cui descrive la grande crisi che colpirà il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento.
Egli la raffigura nella icona dell'Anticristo, personaggio affascinante che riuscirà a influenzare e a condizionare un pò tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l'emblema, quasi l'ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli - dice Solovev - sarà un "convinto spiritualista", un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato …………soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare "con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza” (p. 211).
Nei confronti di Cristo non avrà "un'ostilità di principio" (p. 190); anzi ne apprezzerà l'altissimo insegnamento. Ma non potrà sopportarne - e perciò la censurerà - la sua assoluta "unicità" (p. 190); e dunque non si rassegnerà ad ammettere e a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.
Si delinea qui, come si vede, e viene criticato, un cristianesimo dei "valori", delle "aperture" e del "dialogo", dove pare che resti poco posto alla persona del Figlio di Dio crocifisso per noi e risorto, e all’evento salvifico.
Abbiamo di che riflettere. La militanza di fede ridotta ad azione umanitaria e genericamente culturale; il messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni; la Chiesa di Dio scambiata per un'organizzazione di promozione sociale: siamo sicuri che Solovev non abbia davvero previsto ciò che è effettivamente avvenuto, e che non sia proprio questa oggi l'insidia più pericolosa per la "nazione santa" redenta dal sangue di Cristo? E' un interrogativo inquietante e non dovrebbe essere eluso……………..”
81) Papa Francesco e l'Islam
Al fine di proseguire il dialogo con l’Islam, secondo Papa Francesco, “Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni”. (enc. Fratelli tutti)
I musulmani, da parte loro, persistono nell’irriducibile accanimento nel rinnegare Gesù Cristo come “Figlio di Dio, crocifisso, morto e risorto per la nostra salvezza”, espressione che costituisce, per i cattolici, secondo il nostro Credo, l’elemento essenziale ed imprescindibile fonte della nostra fede.
In tale obbiettivo contesto, risulta molto problematico che cattolici e musulmani possano riunirsi insieme in preghiera, come, invece, avvenuto, dato che, per i cattolici la preghiera è sempre centrata su Gesù Cristo; la chiesa prega infatti “per Cristo, con Cristo ed in Cristo” e lo stesso Gesù disse: “se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome egli ve la darà” (Gv. 16: 23).
Quanto, poi, all’incontro di Papa Francesco con l’imam al-Tayyeb appare inappropriato il riferimento, fatto da Papa Francesco, all’analogo incontro avvenuto 800 anni fa tra San Francesco d’Assisi ed il Sultano d’Egitto (“il mio pellegrinaggio ha seguito le orme di Francesco d’Assisi”……..”vengo a voi per camminare insieme, nello spirito di Francesco d’Assisi”).
L’incontro di Papa Francesco con l’imam al-Tayyeb ha avuto, infatti, come finalità esplicitamente dichiarata, quella di proseguire nel dialogo tra cattolici e musulmani per superare definitivamente le esistenti incomprensioni: finalità perseguita con la ricerca di elementi condivisi da entrambe le parti (“adorazione di Dio e l’amore del prossimo”) escludendo, quindi, dal dialogo, “aspetti della nostra dottrina”, anche se, come sopra, essenziali ed imprescindibili. Non mi sembra che il silenzio possa costituire un idoneo mezzo per superare le esistenti incomprensioni su tali aspetti, almeno che tale silenzio voglia significare la loro rinunzia.
Per San Francesco, invece, scopo del suo viaggio per incontrare il Sultano d’Egitto era quello di convertirlo al cristianesimo, tentativo attuato con amorevole rispetto verso l’interlocutore. Tentativo, comunque, fallito che costrinse San Francesco a rientrare ad Assisi, dopo aver decisamente rifiutato cospicui doni offerti dal Sultano a favore dei poveri di Assisi.
82) Evangelizzazione, proselitismo, irenismo
Si è, di recente, riaffermata la necessità di un forte rilancio dell’evangelizzazione (come già a suo tempo auspicato da Papa Giovanni Paolo II) la cui credibilità possa emergere nella sfida finalizzata al raggiungimento di più salde fraternità, amicizia e solidarietà fra i popoli, senza ricorrere, comunque, a qualsiasi forma di condannabile proselitismo; se, in linea di principio, su quest’ultima esigenza sussiste un unanime consenso, permangono, comunque, talune notevoli divergenze sul contenuto da attribuire ai termini “evangelizzazione” e “proselitismo” che determinano una deprecabile confusione.
Al fine di pervenire ad un necessario chiarimento di quanto sopra messo in evidenza, è di determinante ausilio il ricorso alla “Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione”, redatta dalla “Congregazione per la dottrina della fede” ed approvata da Papa Benedetto XVI il 6 ottobre 2007.
Vengono, pertanto, qui riportati alcuni brani che chiariscono o, quantomeno, determinano in via convenzionale nel loro uso, il contenuto attualmente attribuito dalla Chiesa a detti termini.
“Il termine evangelizzazione ha un significato molto ricco. In senso ampio, esso riassume l'intera missione della Chiesa: tutta la sua vita infatti consiste nel realizzare la traditio Evangelii, l'annuncio e la trasmissione del Vangelo, che è “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1, 16) e che in ultima essenza si identifica con Gesù Cristo (cf. 1 Cor 1, 24). Perciò, così intesa, l'evangelizzazione ha come destinataria tutta l'umanità. In ogni caso, evangelizzare significa non soltanto insegnare una dottrina bensì annunciare il Signore Gesù con parole ed azioni, cioè farsi strumento della sua presenza e azione nel mondo.
In ogni caso, va ricordato che nella trasmissione del Vangelo la parola e la testimonianza della vita vanno di pari passo; affinché la luce della verità sia irradiata a tutti gli uomini, è necessaria anzitutto la testimonianza della santità. Se la parola è smentita dalla condotta, difficilmente viene accolta. Ma neppure basta la sola testimonianza, perché “anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata — ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1 Pt 3, 15) — ed esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù.”
Per quanto concerne, poi, il termine “proselitismo”, la suddetta Nota così si esprime: “Originalmente il termine “proselitismo” nasce in ambito ebraico, ove “proselito” indicava colui che, proveniente dalle “genti”, era passato a far parte del “popolo eletto”. Così anche in ambito cristiano il termine proselitismo spesso è stato utilizzato come sinonimo dell’attività missionaria. Recentemente il termine ha preso una connotazione negativa come pubblicità per la propria religione con mezzi e motivi contrari allo spirito del vangelo e che non salvaguardano la libertà e la dignità della persona. In tale senso, il termine “proselitismo” viene compreso nel contesto del movimento ecumenico: cf. The Joint Working Group between the Catholic Church and the World Council of Churches, The Challenge of Proselytism”.
Quanto come sopra riportato, può così, in estrema sintesi, ricapitolarsi. L’ “evangelizzazione” ha bisogno di due essenziali elementi: annuncio del Vangelo con un chiaro ed inequivocabile riferimento a nostro Signore Gesù Cristo ed una consequenziale testimonianza, finalizzati alla conversione dei non credenti, il tutto svolto con amore e nel rispetto del prossimo, mentre il termine “proselitismo” va inteso solo con riferimento alle inaccettabili ed inopportune modalità, a volte anche violente, svolte senza alcun rispetto dell’altrui coscienza e libertà religiosa nella diffusione del suddetto annuncio.
Se, al fine di chiarezza onde evitare possibili confusioni, la “Congregazione per la dottrina della fede” ha ritenuto opportuno precisare nei termini su esposti i contenuti che la Chiesa intende attribuire, nel loro uso, ai termini “evangelizzazione” e “proselitismo”, è evidente che l’unanimità dei consensi nel condannare il “proselitismo” venga meno qualora vengano modificati i contenuti dei termini in questione.
Al riguardo la suddetta “Nota” prosegue con le seguenti osservazioni che, oggi, appaiono di estrema attualità.
“Si verifica oggi, tuttavia, una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato ed inoperante il comando missionario del Signore (cf. Mt 28, 19). Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà. Sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo ed alla fede cattolica: si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre, alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa.”
Purtroppo la suddetta confusione risulta ulteriormente accresciuta da affermazioni, provenienti da alta e qualificata sede, secondo le quali l’annuncio del Signore debba essere fatto non con la parola ma solo con la testimonianza del camminare insieme verso la stessa meta, diventare, cioè, tutti fratelli per poter costruire fraternità, amicizia, comunità, con l’ulteriore precisazione che “come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo” (aspetti comuni delle religioni monoteiste), “in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro” (enc. Fratelli tutti, cap. VIII), rimanendo così implicitamente escluso dall’opera di evangelizzazione il fine della conversione dei non credenti a Gesù Cristo, Figlio di Dio, crocifisso, morto e risuscitato per la nostra salvezza, aspetto irrinunciabile per i cattolici che costituisce un insormontabile ostacolo per intraprendere, con i non cattolici, un comune “percorso spirituale”.
E’ evidente che, in una tale visione, il campo dell’Evangelizzazione risulti notevolmente ridotto fino ad escludere “aspetti” fondamentali della fede cattolica che, così, sono destinati a confluire nell’ambito di un condannato “proselitismo”, aprendo la strada verso l’istaurazione di una religiosità universale (“irenismo”, di stampo chiaramene massonico) che, inevitabilmente, conduce sì all’unificazione di tutte le religioni, ma nella comune rovina.
Su tale attuale pericolo appaiono davvero profetiche le argomentazioni svolte nell’enciclica Humani Generis di papa Pio XII che così si esprimeva: “Si nota poi un altro pericolo……molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, abbracciano una specie di irenismo che, omesse le questioni che dividono gli uomini, sembrano ritenere un ostacolo al ristabilimento dell’unità fraterna, quanto si fonda sulle leggi e sui principi stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate , o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell’integrità della fede, crollate le quali, tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina”. Anche il Sant’Ufficio si pronunciava negli stessi termini il 20 dicembre 1949 affermando che : “si deve evitare che per uno spirito, chiamato irenico, l’insegnamento cattolico venga talmente confutato e accomodato con la dottrina dei dissidenti (per il vano desiderio dell’assimilazione progressiva delle differenti professioni di fede ) che ne abbia a soffrire la purezza della dottrina cattolica”. Altrettanto profetica appare anche l’affermazione contenuta nell’enciclica Humanum Genus di papa Leone XIII del lontano 1884: “l’irenismo d’oggi è proprio questo spirito diabolico condannato dalla Chiesa, prodromo della cosiddetta Religione unica globale, ovvero dell’irreligione totalitaria della Setta del male e dell’errore”.
83) Cristiani, musulmani ed ebrei uniti nella preghiera?
Le perplessità ed i dubbi avanzati nel precedente capitolo “Papa Francesco e l’Islam”, circa la possibilità di un incontro comunitario di preghiera tra cristiani e musulmani sono stati oggetto di diverse critiche in quanto sarebbero stati determinati da un fraintendimento delle parole e delle intenzioni del Papa.
In particolare, il moderatore di un sito cattolico molto seguito ha pubblicato il seguente commento.
“Non vanno fraintese le parole e le intenzioni del Papa, che non sono certamente di finalità sincretista.
Il suo intervento va letto sulla base dei diversi gradi di espressione della fede. Il modo, infatti, in cui l'uomo si è approcciato nel tempo con il Divino ha diversi livelli, e più indietro si va nei livelli più è possibile trovare un punto comune in tutte le religioni.
Nel caso specifico il livello è quello del Monoteismo, la fede nel Dio unico, che è sostanzialmente il Dio che si è rivelato ai Patriarchi e ai Profeti, è ciò che accomuna ebrei, cristiani e musulmani. E' necessario, quindi, risalire a questo livello per trovare un linguaggio comune, anche un linguaggio di preghiera.
I cristiani, come gli ebrei e i musulmani, si rivolgono all'unico Dio (anche per noi cattolici tutte le orazioni della Liturgia, escludendone pochissime, sono rivolte al Padre), è quindi possibile pregare insieme quell'unico Dio”.
Se tutto ciò è fuori discussione, è indubitabile che la preghiera del cristiano, se pure rivolta al Padre, è pur sempre formulata nel nome del suo Figlio, crocifisso, morto e risorto per la nostra salvezza, come lo stesso Gesù Cristo ci ha insegnato (“se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome egli ve la darà”); dato che quest’ultimo aspetto costituisce, per i cristiani, elemento essenziale ed imprescindibile fonte della propria fede, mentre è assolutamente intollerabile per i musulmani e gli ebrei, al fine molto discutibile di trovare “un punto comune” di incontro tra le tre religioni monoteiste i cristiani si vedrebbero costretti a rinunziare a confessare e proclamare apertamente il loro amore e devozione a Gesù Crocifisso.
Il ritornare indietro in tempi ormai remoti al fine di trovare un punto d’incontro tra le tre religioni monoteiste porta, infatti, all’invito, da parte di Papa Francesco, a pregare insieme all’unico Dio Padre celeste, implicitamente invitando i cristiani ad ignorare, in tale sede, l’Avvento di nostro Signore Gesù Cristo.
Le parole ed intenzioni di Papa Francesco nel non aver preso in alcuna considerazione tale aspetto lasciano davvero perplessi, soprattutto se confrontate con quanto, dieci anni or sono, ebbe a dire Lui stesso in un’omelia pronunciata durante una messa celebrata pochi giorni dopo la Sua elezione alla presenza di 114 cardinali e che, qui di seguito, viene fedelmente trascritto (v. testo integrale dell’omelia del 2013 pubblicata nel sito ufficiale del Vaticano).
“Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore.…….. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio……….. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore”.
Altro problema, non preso in considerazione, circa la possibilità di incontri comunitari di preghiera tra le tre religioni monoteistiche riguarda, poi, la ricerca dei luoghi ove svolgere tali eventuali incontri, dato che le chiese, le sinagoghe e le moschee presentano differenti aspetti architettonici ed organizzativi, corrispondenti alle singole diverse specificità difficilmente reciprocamente accettabili.
84) Il miracolo della sacra Sindone
Il 31 luglio 2023, nella Chiesa di San Domenico in Chioggia, è stata aperta al pubblico la mostra internazionale “The Mystery Man” , dedicata alla Sacra Sindone di Torino che comprende l’esposizione di una scultura, realizzata in lattice e silicone, che riproduce in grandezza naturale il corpo raffigurato nel suddetto sacro telo, sfruttando le sue qualità tridimensionali. Come è noto, infatti, da diversi anni venne scoperto che l’intensità della colorazione degli innumerevoli punti costituenti l’immagine sindonica era strettamente correlata alla distanza tra la tela e l’oggetto dell’immagine, sicché si rendeva possibile, sfruttando tale sorprendente particolarità, ricostruire fedelmente il corpo ivi raffigurato: si era già nel passato cercato di realizzare tale complessa operazione, ma il risultato raggiunto non era mai pervenuto ad un tale livello di perfezione come evidenziato dal manufatto come sopra oggi esposto al pubblico. La scultura rappresenta il corpo di un uomo straziato da innumerevoli ferite (tutte corrispondenti a quelle descritte nei Vangeli sulla passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo), con il capo leggermente sollevato, le mani piegate sul davanti ed una gamba flessa che indicano una persona non morta, ma viva che stia per alzarsi.
Sull’origine dell’immagine sindonica innumerevoli studi vennero svolti nel passato ed ancora oggi non sono pochi quelli (scienziati e non) che cercano invano di trovare una soddisfacente risposta, sicché può tranquillamente affermarsi che sul come quell’immagine tridimensionale sia rimasta impressa sul lenzuolo resta un mistero totale.
Scartata, innanzi tutto, la possibilità che si tratti di un falso realizzato da un abile contraffattore, per l’ormai accertata impossibilità di una sua qualsiasi riproduzione, pur disponendo oggi di sofisticatissimi meccanismi e scartata anche l’ipotesi che l’immagine si possa essere prodotta per contatto diretto tra la tela ed il corpo, dato che, in tale ipotesi, il risultato sarebbe stato quello di una inevitabile distorsione dell’immagine, resta ancora in piedi l’ipotesi che tale effetto figurativo possa essere stato prodotto per proiezione: l’immagine sarebbe stata, cioè, impressa sul lenzuolo a seguito dell’istantanea e potentissima emissione di luce che si sarebbe verificata al momento della resurrezione di Gesù Cristo.
Quest’ultima ipotesi risulta sostenuta anche da qualificati esperti studiosi dell’argomento e la raffigurazione evidenziata con la scultura come sopra realizzata sembrerebbe fornire ulteriori elementi a suo sostegno: l’immagine sindonica sarebbe, quindi, stata prodotta dal lampo di luce emanato dal corpo di Gesù Cristo al momento della Sua resurrezione “fotografando” in maniera indelebile tale straordinario e miracoloso evento: in altri termini, e più semplicemente, l’immagine sindonica sarebbe stata impressa sul telo sindonico come effetto naturale (anche se con modalità che scientificamente non si è mai riusciti ad identificare) dell’avvenuta miracolosa resurrezione (nel suo interno) di Gesù Cristo.
Pur riconoscendo di non essere un esperto e qualificato studioso dell’argomento in oggetto, non ritengo di poter aderire all’attendibilità di quest’ultima ipotesi sulla base di alcune mie personali riflessioni che succintamente espongo qui di seguito che, pur nella loro apparente banalità’, mi appaiono, comunque, difficilmente contestabili.
Innanzitutto l’accostamento dell’impressione dell’immagine presente sul telo sindonico determinata da una istantanea e potentissima emissione di luce dal corpo risorto di Gesù Cristo all’impressione di una pellicola nell’esecuzione di una normale fotografia è alquanto discutibile, dato che mentre in quest’ultimo caso la fonte di luce (sole od altra fonte artificiale) serve ad illuminare l’oggetto da riprendere, nel caso in esame l’oggetto da riprendere coinciderebbe con la stessa fonte di luce.
Sussistono, a mio modesto avviso, sufficienti motivazioni che rendono quanto meno molto discutibile quanto come sopra ipotizzato.
La ricostruzione così come sopra di recente realizzata con la produzione di una statua esattamente corrispondente all’immagine sindonica mette in chiara evidenza quale fosse la posizione del corpo del soggetto raffigurato nel momento dell’avvenuta ipotetica impressione a seguito della violenta emissione di luce emanata dal corpo, all’atto della sua resurrezione.
Deve, infatti, necessariamente convenirsi che, in presenza di una immagine sia del davanti che del retro del corpo, al momento della suddetta esplosione di luce, il telo sindonico, al fine di evitare qualsiasi distorsione dell’immagine, dovesse trovarsi in posizione perfettamente distesa sia sotto che sopra il corpo e che il quest’ ultimo non dovesse, inoltre, giacere sul telo stesso (dato che, in tale caso, avrebbe comportato un conseguente afflosciamento dei glutei, cosa esplicitamente non riscontrata dai vari esami effettuati): il corpo sarebbe stato, quindi, da ritenersi galleggiante all’interno del telo. Inoltre, in tale veramente surreale posizione del corpo, galleggiante tra le due parti del telo, al fine di realizzare una soddisfacente stesura dello stesso, doveva intercorrere una distanza sempre uniforme tra le suddette due parti del telo e per tutta la sua estensione, almeno pari allo spessore del corpo e, comunque, avendo anche presente che sia il capo che una gamba appaiono leggermente sollevati, non inferiore a 20-30 centimetri, cosa assolutamente da escludersi. Infatti, essendo l’immagine realizzata su di un unico telo (testa contro testa), si rileva, tra le due immagini contrapposte del capo, l’esistenza di uno spazio privo di immagine di soli 2 o 3 centimetri (comunque assolutamente insufficiente a realizzare il suddetto necessario minimo distacco) attribuibile alla presenza intorno al capo di un sudario che, arrotolato su se stesso, fungeva da mentoniera al fine di mantenere la bocca chiusa (sulle modalità della sepoltura, v. un mio precedente scritto al n. 69 di questo sito dal titolo “Cosa vide Giovanni nel sepolcro vuoto”).
Invero, al momento della resurrezione di Gesù, il Suo corpo, al difuori della suddetta veramente “bizzarra” quanto necessaria ricostruzione al fine di sostenere l’ipotesi dell’impressione dell’immagine a tale momento, risultava giacere nel sepolcro, avvolto dal lenzuolo sindonico e dalle sovrastanti fasce che mantenevano ben stretto il suo corpo. Come raccontato dai Vangeli, lenzuolo e fasce vennero trovati da Pietro e Giovanni afflosciati su sé stessi, in quanto privi del corpo di Gesù che contenevano, nella stessa posizione nella quale si trovavano all’atto della sua sepoltura: inoltre, il telo sindonico, come solo successivamente accertato, non presenta la benché minima sbavatura delle macchie di sangue, circostanza che attesta come il corpo di Gesù si sia smaterializzato e, quindi, scomparso da detti bendaggi, senza che gli stessi siano stati minimamente rimossi da qualcuno (anche su tale argomento v. lo scritto su richiamato).
Quanto sopra sembra sufficiente ad escludere l’ipotesi che l’immagine sindonica si possa essere prodotta per l’improvvisa emissione di luce in occasione della resurrezione di Gesù: ma c’è di più.
Come risulta descritto dai Vangeli, il corpo di Gesù, dopo la Sua morte in croce, venne ravvolto da un “candido lenzuolo” (inequivocabilmente identificabile con il telo sindonico) e così trasportato dal Golgota al sepolcro, distante circa 50 metri: è facile presumere che in tale tragitto (anche se abbastanza breve) detto lenzuolo si sia inevitabilmente macchiato di sangue per le innumerevoli ferite e lacerazioni che ricoprivano tutto il suo corpo e così sia rimasto ed utilizzato per la sua sepoltura, avvenuta in fretta per le note esigenze imposte dalla religione ebraica in quel dato momento.
In tale incontestabile situazione, l’impressione dell’immagine sindonica, nell’ipotetica modalità sopra descritta si sarebbe prodotta su di un telo non più “candido”, bensì già ricoperto da macchie di sangue (con conseguenti sbavature determinate dall’inevitabile sfregamento del corpo in occasione del suddetto tragitto) rendendo, in tal modo, sicuramente indecifrabile l’immagine: l’accurato esame del telo sindonico effettuato per decenni da parte degli innumerevoli studiosi non ha mai constatato, comunque, l’eventuale suddetta sovrapposizione.
Inoltre la scultura come sopra realizzata, sulla base di quanto risulta impresso sul telo sindonico, in quanto raffigurante un corpo vivo con il capo già sollevato da terra, non risulta corrispondente al momento (infinitesimamente breve) dell’emissione della potentissima luce all’atto della resurrezione di Gesù, ma a qualche attimo successivo.
In conclusione, le osservazioni che precedono sembrano escludere che l’immagine sindonica si possa essere prodotta o, comunque, ritenersi connessa all’esplosione di luce emanata dal corpo di Gesù in occasione della sua resurrezione.
In tale situazione sembra che, nell’affannosa ricerca delle cause che hanno generato l’immagine sindonica, non resti altro che un'unica possibile ipotesi: quella del miracolo.
Sarebbe stato, pertanto, Gesù stesso, nell’intento di lasciare un segno tangibile della sua Passione, Morte e Resurrezione, ad imprimere sul lenzuolo sindonico (dopo averlo reso perfettamente candido) la propria immagine, unitamente ad una lunga serie di ulteriori segni informativi su quanto era accaduto, molti dei quali non immediatamente percepibili e, forse, ancora da scoprire. D’altra parte, a chi gli chiedeva di “vedere un segno” di tutto quello che diceva, Gesù stesso rispose: “una generazione perversa ed adultera pretende un segno. Ma nessun segno sarà dato, se non il segno di Giona profeta” (Mt. 12: 38-41).
Inoltre, per concludere, l’ipotesi secondo la quale l’immagine non si fosse prodotta a seguito della resurrezione di Gesù, ma per suo volontario miracolo, ridimensione (se non elimina del tutto) anche il problema della discussa data nella quale tale evento si è verificato: nulla cambia, cioè, se tale evento si fosse verificato 2000 anni fa oppure nel 1300………
85)Gesù Cristo convertito da una pagana ?
Nel Vangelo di Matteo (15, 21-28) così viene descritto l’incontro di Gesù con una donna cananèa: “In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita”.
Di recente Padre Antonio Spadaro, Direttore di “Civiltà cattolica” ha pubblicato un suo commento sul passo evangelico su trascritto interpretando il comportamento tenuto da Gesù in tale occasione in modo, quanto meno, assai discutibile.
Secondo Padre Spadaro, infatti, Gesù, con l’iniziale suo insistente rifiuto ad assecondare la richiesta della povera donna, avrebbe usato nei suoi confronti un comportamento duro ed irriguardoso con una caduta di stile, di umanità e soprattutto senza alcuna misericordia; solo, dopo le ulteriori insistenze della donna, “con poche parole – conclude Padre Spadaro - ma ben poste e tali da sconvolgere la rigidità di Gesù, da conformarlo, da “convertirlo” a sé…… Gesù appare guarito, e alla fine si mostra libero, dalla rigidità degli elementi teologici, politici e culturali dominanti del suo tempo. Ha guarito la figlia di una donna pagana, disprezzata per essere cananea. Non solo: le dà ragione e ne loda la grande fede. Qui c’è il seme di una rivoluzione”.
Le conclusioni cui perviene Padre Spadaro, così come sopra sinteticamente riferite, destano, però, alcune perplessità.
Innanzitutto, la donna incontrata da Gesù era una cananea, appartenente, cioè, ad una comunità, pagana nemica tradizionale contro cui il popolo ebraico aveva dovuto combattere strenuamente per stabilirsi nella terra promessa la cui religione rappresentava una minaccia costante per la purezza della religione israeliana e che rinnegava apertamente Gesù Cristo. E’ ben noto l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei pagani ed in genere di chiunque lo avesse rinnegato ("Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele”:Mt 10, 5-6; “chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”: Mt 10, 33).
Per quanto concerne, poi, la misericordia va ricordato che se è vero che la giustizia di Dio è la sua misericordia è pur vero che la stessa presuppone, nel beneficiario, il suo completo ravvedimento (conversione) ed adesione a Cristo Gesù (Rm 10, 3-4). Lo stesso Papa Francesco, nella Bolla di indizione del giubileo della Misericordia ha testualmente affermato che: “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere”. Anche le parabole sulla misericordia ribadiscono il principio che il pentimento e la conversione costituiscono sempre i suoi necessari presupposti.
L’iniziale rifiuto di Gesù verso la richiesta della donna cananea risulta, pertanto, perfettamente in linea con quello che rappresentava un componente di una comunità pagana e miscredente.
Ma, difronte all’insistenza della donna (“Signore aiutami”) che già si era rivolta a Lui chiamandolo “figlio di Davide”, Gesù le risponde in modo apparentemente provocatorio (“non è bene prendere il pane dei figli e darlo ai cagnolini”) al fine di ottenere una risposta che gli sveli quanto realmente alberghi nelle profondità del suo animo.
La risposta è davvero illuminante: la cananea, anziché adirarsi per essere stata paragonata, in tono dispregiativo, ad un “cagnolino” non osa contraddire il Signore, non si rattrista e non si abbatte, ma, accettando umilmente il paragone, mostra le qualità dei cagnolini che si nutrono delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni, implicitamente manifestando il proprio ravvedimento e richiesta di partecipazione ai beni della salvezza messianica, anche se in modo limitato.
E’ proprio questo atteggiamento di totale fiducia e povertà spirituale che convince Gesù a ritenerla inserita nel piano della salvezza cristiana (“donna davvero grande è la tua fede. Ti sia fatto come desideri”).
Il miracolo compiuto da Gesù è, pertanto, correttamente da collegarsi all’avvenuta conversione della donna cananea come testualmente attestato dallo stesso Gesù.
Nell’episodio raccontato nel Vangelo di Matteo non è, pertanto, riscontrabile alcun “seme di una rivoluzione” e “conversione” di Gesù Cristo, come, invece, frettolosamente sostenuto da Padre Antonio Spadaro.
86) Ancora sull'incontro di Gesù con la Cananea
Nel precedente scritto ho proposto una mia personale lettura delle dure frasi pronunciate da Gesù nei confronti della donna cananea, nel senso di ritenerle rivolte a solo titolo provocatorio e, quindi, non corrispondenti al suo reale pensiero.
A miglior chiarimento di quanto come sopra sostenuto, ritengo di indicare, sia pure sinteticamente, su quali argomentazioni si basano le suddette mie conclusioni.
1.Dio Padre ha mandato Suo Figlio nel mondo dando, a tutti quelli che lo avessero accolto e creduto nel suo nome, il potere di diventare figli di Dio, senza limitazioni di alcun genere: la Sua infinita misericordia risulta, quindi, condizionata solo a chi lo accoglie ed ha fede in Lui.
2.Gesù Cristo era perfettamente a conoscenza di tale mandato, sin dalla Sua adolescenza: deve, pertanto, ritenersi davvero inverosimile che possa essere caduto in errore, sia pure inizialmente, qualificandosi mandato solo “alle pecore perdute della casa d’Israele”, contravvenendo, comunque, al disegno divino, stravolgendone i contenuti.
3.L’invito rivolto da Gesù agli apostoli: “non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10, 5-6), non deve, comunque, essere inteso come un divieto ma “piuttosto” un consiglio a non intrattenersi con i pagani, in quanto “duri di cervice” e, pertanto, refrattari ad accogliere l’annuncio evangelico. Il seme, comunque, va sparso anche sui sassi, anche se con discutibili frutti: d’altra parte lo stesso Gesù, proprio nell’episodio in oggetto, è in viaggio verso i territori di Tiro e Sidòne, notoriamente abitate da pagani.
4.Ritornando alla supplica della donna cananea – presumibilmente pagana e rinnegatrice di Gesù Cristo come tutti i componenti della sua comunità di appartenenza, ancorché si fosse a Lui rivolta chiamandolo Figlio di Davide - va notato che se Gesù l’avesse subito accolta sarebbe andato incontro a facili critiche per averle usato misericordia, pur in assenza delle condizioni come sopra ricordate al precedente n. 1.
5.Ma Gesù, profondo conoscitore dell’animo umano, ben conosceva i veri sentimenti della cananea e la sua fede evidentemente non ancora dichiarata: pertanto, al fine di rendere pubblica tale situazione che gli consentisse, senza facili scandali, di operare il miracolo richiesto, rivolge a lei quelle frasi provocatorie ed offensive alle quali prontamente la donna cananea risponde in termini (che è facile ipotizzare ispirati, come la sua imnsistenza, dallo stesso Gesù) che consentono a Gesù di svelare pubblicamente la sua “grande fede” e, così, assecondare la richiesta di guarigione della di lei figlia; sull’episodio, il vangelo di Marco è più esplicito: alla risposta della cananea, Gesù le rispose: “per questa tua parola va, il demonio è uscito da tua figlia” (Mc. 7, 29).
6.Così ricostruiti i fatti, il miracolo di Gesù concesso alla cananea rientra, per così dire, nella norma di ogni altro suo intervento miracoloso, né sono, quindi, ravvisabili aspetti particolari (conversione, guarigione di Gesù o semi di rivoluzione) che, tra l’altro, qualora sussistenti, non sarebbero sfuggiti all’attenta osservazione dell’evangelista Giovanni, tanto che, per l’evidente sua irrilevanza, quest’ultimo ha ritenuto di non citare affatto l’episodio in questione.
Ritengo, comunque, chiarire che ciò che mi ha spinto a scrivere sull’argomento è stato il fatto che, come modesto operaio nella vigna del Signore ed innamorato di Gesù, mi ha profondamente ferito che un esponente della Chiesa Cattolica abbia potuto impunemente denigrare la Sua figura qualificandolo, in un recente articolo, “indifferente, duro, senza misericordia”, manifestando una “caduta di stile, umanità, accecato dal nazionalismo e dal rigorismo religioso” per, poi, “guarire” per le parole di una pagana cananea che “sono tali da sconvolgere la rigidità di Gesù, da confonderlo e da convertirlo a sé”. “Gesù – così conclude l’autore dell’articolo – appare libero della rigidità dagli elementi teologici, politici e culturali……qui c’è il seme di una rivoluzione”.
Per concludere, un’amara riflessione: può risultare comodo, sia pure inconsapevolmente, considerare Gesù sotto l’aspetto di vero uomo e che, pertanto, alla stregua di ogni altro essere umano, possa cadere anche Lui nel peccato o nell’errore, contravvenendo alla volontà del Padre per, poi, ravvedendosi, convertendosi, guarendosi e, con un’interna rivoluzione, tornare sui propri passi verso la casa del Padre, come indicato nella nota parabola. Ma, per nostra fortuna, non è questo il vero Gesù, come potrebbe “apparire” dalle affermazioni espresse nell’articolo su richiamato che, sulla base dell’ipotesi qui avanzata, risulterebbero prive d’ogni fondamento.
Per concludere, un’amara riflessione: può risultare comodo, sia pure inconsapevolmente, considerare Gesù sotto l’aspetto di vero uomo e che, pertanto, alla stregua di ogni altro essere umano, possa cadere anche Lui nel peccato o nell’errore, contravvenendo alla volontà del Padre per, poi, ravvedendosi, convertendosi, guarendosi e, con un’interna rivoluzione, tornare sui propri passi verso la casa del Padre, come indicato nella nota parabola. Ma, per nostra fortuna, non è questo il vero Gesù che di sé ha detto: “io sono la verità”……..universale ed immutabile.
87) Dubbia apertura alla benedizione delle coppie "irregolari"
Con riferimento alla recente Dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la dottrina della fede del 23.12.2023, approvata da Papa Francesco, in tema della benedizione delle coppie di omosessuali e di divorziati risposati, è preliminarmente opportuno fare riferimento ai precedenti documenti ufficiali della Chiesa cattolica che hanno trattato di tale argomento.
Nel testo dell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis del 22.02.2007, sottoscritto da Papa Benedetto XVI, a proposito dei divorziati risposati, dopo aver affermato che , “la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale e che tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali”, questi ultimi vengono esplicitamente invitati ad “evitare, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio”.
Nel “Responsum della Congregazione per la dottrina della fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso del 15.03.2021” si sostiene, con l’esplicita approvazione di Papa Francesco, che “quando si invoca una benedizione su alcune relazioni umane occorre – oltre alla retta intenzione di coloro che ne partecipano – che ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni.
Per i suddetti motivi, la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso nel senso sopra inteso”.
Nello stesso documento su richiamato, viene, anche aggiunta la seguente precisazione: “La risposta al dubium proposto non esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale, le quali manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale, ma dichiara illecita ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le loro unioni. In questo caso, infatti, la benedizione manifesterebbe l’intenzione non di affidare alla protezione e all’aiuto di Dio alcune singole persone, nel senso di cui sopra, ma di approvare e incoraggiare una scelta ed una prassi di vita che non possono essere riconosciute come oggettivamente ordinate ai disegni rivelati di Dio.
Nel contempo, la Chiesa rammenta che Dio stesso non smette di benedire ciascuno dei suoi figli pellegrinanti in questo mondo, perché per Lui siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare. Ma non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui. Egli infatti ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo”.
Con la recentissima Dichiarazione “Fiducia supplicans” del 18.12.2023, esplicitamente approvata da Papa Francesco, viene preliminarmente chiarito che lo scopo del documento in questione “è quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni, che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica strettamente legata a una prospettiva liturgica” che renda, invece, “inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio, quale unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli, e ciò che lo contraddice. Questa convinzione è fondata sulla perenne dottrina cattolica del matrimonio. Per questo motivo, a proposito delle benedizioni, la Chiesa ha il diritto e il dovere di evitare qualsiasi tipo di rito che possa contraddire questa convinzione o portare a qualche confusione. Tale è anche il senso del Responsum dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede laddove afferma che la Chiesa non ha il potere di impartire la benedizione ad unioni fra persone dello stesso sesso”.
Con un ragionamento di obbiettiva non facile comprensione, la Dichiarazione in questione, suggerendo una visione non più liturgica, ma pastorale della benedizione, testualmente afferma che “tale riflessione teologica, basata sulla visione pastorale di Papa Francesco, implica un vero sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa” pervenendo, così, alla conclusione che “proprio in tale contesto si può comprendere la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio”, in evidente contrasto con le precedenti affermazioni.
La possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari, così come presentata nella suddetta Dichiarazione, è stata accolta da più parti come autentica rivoluzione, ma un’attenta lettura del testo sembra offrire una contraria conclusione.
In tale documento si legge, infatti, che “nelle benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo.Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino……... Nella breve preghiera che può precedere questa benedizione spontanea, il ministro ordinato potrebbe chiedere per costoro la pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo ed aiuto vicendevole, ma anche la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà”.
Con tali affermazioni si dà, infatti, per scontato, nei richiedenti, la sussistenza di un atteggiamento - consapevolezza dell’irregolarità del proprio stato, assoluta assenza di richiesta di legittimazione dello stesso, riconoscimento della propria indigenza e richiesta di aiuto a Dio per liberarsi delle proprie imperfezioni e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo – tutti elementi che, nel “Responsum” su citato, venivano indicati come valido atteggiamento per conseguire una benedizione, in deroga al divieto a carattere generale come sopra fatto presente.
E’ evidente che presumere la sussistenza della suddetta particolare predisposizione d’animo, da parte dei richiedenti, non fa altro che ribadire implicitamente la sua necessità al fine di ottenere la benedizione richiesta, anche se quanto sopra riportato non ha formato oggetto di particolare attenzione, perché del tutto dimenticato.
Per concludere, nulla è cambiato sull’argomento in oggetto rispetto alle precedenti determinazioni, tranne l’insorgere di un evidente equivoco che può solo alimentare confusione e dannosi disorientamenti.