L’uomo , per sua natura, ha sempre desiderato conoscere, sapere tutto, rendersi conto della realtà che lo circonda, in altre parole è sempre stato alla ricerca della verità: con il progresso scientifico ed il conseguente accrescimento delle proprie conoscenze in tutti i campi, l’uomo ha sempre più ridotto i margini di ciò che gli era ignoto, pervenendo, a poco a poco, alla convinzione che, prima o dopo, riuscirà a scoprire tutto ciò che ancora non è oggetto di conoscenza, ivi compresi i grandi interrogativi sull’inizio del mondo e, quindi, sul significato della propria esistenza. In questo vero e proprio delirio di onnipotenza, dettato da una incondizionata presunzione sui propri mezzi, l’uomo è inevitabilmente portato a rivendicare a sé stesso la propria libertà nella ricerca della verità, in ogni campo e, quindi, anche nel campo della morale, sicché la stessa coscienza che, correttamente va individuata come la facoltà attribuita ad ognuno di noi di verificare se i nostri comportamenti si adeguino, o meno, a principi etici la cui fonte va cercata, comunque, al di fuori di noi stessi, diventa, invece, essa stessa la fonte di quei principi. Si perviene, così, all’esaltazione della libertà al punto da farne un assoluto, che diventa la sorgente dei valori: “si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All’affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l’ imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di accordo con se stessi. Tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale….tale visione fa tutt’uno con un’etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri”. (dall’enc. Veritatis splendor di Giovanni Paolo II). “In questa concezione della libertà, la convivenza sociale viene profondamente deformata. Se la promozione del proprio io è intesa in termini di autonomia assoluta, inevitabilmente si giunge alla negazione dell’altro, sentito come un nemico da cui difendersi. In questo modo la società diventa un insieme di individui posti l’uno accanto all’altro, ma senza legami reciproci: ciascuno vuole affermarsi indipendentemente dall’altro, anzi vuol far prevalere i suoi interessi. Tuttavia, di fronte ad analoghi interessi dell’altro, ci si deve arrendere a cercare qualche forma di compromesso, se si vuole che nella società sia garantito a ciascuno il massimo di libertà possibile. Viene meno così ogni riferimento a valori comuni e a una verità assoluta per tutti: la vita sociale si avventura nelle sabbie mobili di un relativismo totale: allora tutto è convenzionabile, tutto è negoziabile…..ma questa è la morte della vera libertà”. Respinta, così, l’idea di una verità assoluta e trascendente, “l’eclissi del senso di Dio conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano l’individualismo, l’utilitarismo e l’edonismo…..l’unico fine che conta è il perseguimento del proprio benessere materiale; la cosiddetta qualità di vita è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza……il criterio proprio della dignità personale – quello cioè del rispetto, della gratuità e del servizio – viene sostituito dal criterio dell’efficienza, della funzionalità e dell’utilità: l’altro è apprezzato non per quello che è, ma per quello che ha, fa e rende” (Enc. Evangelium vitae, di Giovanni Paolo II). In un simile contesto, si assiste ad un progressivo affievolimento, se non ad un ribaltamento delle virtù cristiane: così, la virtù della temperanza, fondata sulla moderazione nell’attaccamento ai beni di questo mondo, è sostituita da un’affannosa e convulsa corsa all’accaparramento di beni, oltre i bisogni individuali; la virtù della giustizia che dovrebbe spingere quanti sono preposti alla sua attuazione, al rispetto dei diritti del prossimo ed a dargli ciò che gli è dovuto, viene, a volte e sempre più frequentemente, sostituita dall’arroganza o dall’inerzia di larga parte della magistratura, che si trasforma in vera e propria negazione di giustizia; la virtù della solidarietà che dovrebbe ispirarsi alla regola aurea del Signore, il quale “da ricco che era, si è fatto povero” per noi, perché diventassimo “ricchi per mezzo della sua povertà”, è mortificata da una serie di comportamenti e di atti che contrastano la dignità umana, come il furto, la frode in commercio, i salari ingiusti, il rialzo dei prezzi speculando sull’ignoranza e sul bisogno altrui, i lavori eseguiti male, la frode fiscale, le spese eccessive, lo sperpero; la virtù della castità nei rapporti sessuali, ove la sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell’amore, ossia del dono di sé e dell’accoglienza dell’altro, diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri ed istinti. Nell’ambito politico, non vengono più osservati (venendo, così, meno il fondamento stesso della convivenza politica, compromettendo progressivamente tutta la vita sociale) principi fondamentali che rispondono ad esigenze morali oggettive di un buon funzionamento degli Stati, come: la trasparenza nella pubblica amministrazione, l’imparzialità nel servizio della cosa pubblica, il rispetto dei diritti degli avversari politici, la tutela dei diritti degli accusati contro processi e condanne sommarie, l’uso giusto ed onesto del denaro pubblico, il rifiuto di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere. Sempre nell’ambito politico, si assiste, poi, ad una strumentalizzazione propagandistica, al fine di carpire consensi tra i cattolici, di pubbliche dichiarazioni di aderenza ai valori cristiani da parte di soggetti che, con il loro comportamento, sia nella vita privata che pubblica, contraddicono visibilmente a quei principi.Se è vero che tutto ciò accade essenzialmente perché l’uomo è pervenuto ad un concetto di libertà come di un bene “illimitato” e, pertanto, sente la legge di Dio come un peso, anzi una negazione o comunque una restrizione della propria libertà, è lecito concludere con il Profeta che “non c’è niente di nuovo sotto il sole”. L’uomo, infatti, è stato sempre permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo da Dio, offuscando la sua capacità di conoscere la verità, indebolendo, così, la sua volontà di sottomettersi ad essa fin da “quel misterioso peccato d’origine (come lo definisce Giovanni Paolo II, nell’enc. Veritatis splendor), commesso per istigazione di Satana, che è menzognero e padre della menzogna”. “Leggiamo nel libro della Genesi: Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti. Con questa immagine, la Rivelazione insegna che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all’uomo, ma a Dio solo. L’uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere ed accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso d’una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare di tutti gli alberi del giardino. Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte all’albero della conoscenza del bene e del male, essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all’uomo. Dio, che solo è buono, conosce perfettamente ciò che è buono per l’uomo, e in forza del suo stesso amore glielo propone nei comandamenti” (enc. cit.). Purtroppo l’uomo, oggi come ieri e forse più di ieri, porta in sé questo “misterioso peccato d’origine” che lo spinge a rivendicare a sé stesso il potere di decidere ciò che è bene e ciò che è male, facendo, così, prevalere l’utilitarismo ed edonismo che inevitabilmente sfocia nel peggiore relativismo, anticamera di vero e proprio ateismo. Insieme alla minaccia di un sempre più dilagante ateismo, vanno messi in evidenza altri fenomeni ed atteggiamenti preoccupanti, come il così detto “fondamentalismo religioso”, consistente, in via generale, in un atteggiamento culturale contrario al dialogo, che rivendica principi religiosi “non negoziabili”, sul presupposto apodittico che il proprio punto di vista è l’unico giusto, dando del mondo una lettura basata su un legame inscindibile fra precetti religiosi ed ordinamento della società e dello stato: così è “miscredenza” (in particolare per il credente musulmano) riservare l’espressione della propria fede a una sfera intima della propria coscienza, senza cercare di influenzare e modellare il mondo esterno su di essa, laddove il messaggio religioso, sempre aperto al dialogo, deve avere, invece, solo il valore di proposta, da accogliersi o respingersi, in piena libertà. In senso diametralmente opposto, trovano sempre più spazio dottrine e sette che indicano, come modello da seguire, una forma di misticismo, basato sulla ricerca individualistica ed egoistica dell’incontro con la divinità, facendo astrazione da tutto il mondo che ci circonda, ben diversa da una vita contemplativa cristianamente intesa, ove l’apostolato della preghiera si congiunge all’offerta quotidiana di sé stessi a vantaggio degli altri. Ritornando alla ricerca delle cause di una avvertita maggiore “spinta”, nel momento presente, nell’affermazione del proprio potere decisionale in ordine a ciò che è bene e ciò che è male, con la conseguente caduta verticale dei tradizionali “valori cristiani”, sarebbe opportuno cercare di individuarle, a titolo meramente esemplificativo e, pertanto, senza alcuna pretesa di essere esaustivi, nei settori in cui si è verificata una maggiore e più incisiva evoluzione, tale da determinare significativi mutamenti nei rapporti interpersonali. Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una progressiva e vertiginosa accelerazione nell’innovazione tecnologica che ha investito quasi tutti i settori dell’attività umana, con particolare riferimento a quelli dell’informazione e della comunicazione: altro fenomeno significativo ha accompagnato tale evoluzione, soprattutto nel settore economico, laddove la continua e sempre maggiore interferenza tra le varie economie locali ha prodotto l’effetto della c.d. globalizzazione che, in parole povere, può identificarsi nell’impossibilità che determinati avvenimenti di una certa dimensione possano rimanere localizzati nell’area geografica ove si sono prodotti, senza, invece, produrre effetti nei confronti delle altre economie mondiali, con evidenti conseguenze dannose nei loro confronti, ove ad essere “esportati” sono veri e propri terremoti finanziari. Per quanto concerne il settore dell’informazione, è evidente come gli sviluppi enormi nella tecnologia usata in tale settore (dalla televisione ai mezzi più sofisticati, come internet) abbiano favorito la divulgazione, in tempo reale, e verso un pubblico che oramai copre quasi tutta l’intera popolazione terrestre, di tutto ciò che accade nel mondo: a tale sviluppo tecnologico non ha, però, corrisposto un’adeguata cultura da parte degli operatori di detti mezzi di informazione, sicché, senza cadere in facili generalizzazioni, si assiste quotidianamente ad un vero e proprio bombardamento di tutte le “notizie” che, purtroppo, fanno maggiore presa sull’attenzione, a volte morbosa, dello spettatore. Così, a solo titolo esemplificativo, efferati delitti, in nome di un mal inteso diritto all’informazione, vengono descritti con dovizia di particolari sempre più minuziosi e raccapriccianti, alimentando la crescente curiosità dello spettatore, senza alcuna considerazione che tra i destinatari di tale “informazione” inevitabilmente sono anche presenti soggetti deboli ed indifesi, come i minori ed altri soggetti con particolari stati d’animo di natura psicologica che da tali immagini possono ricevere danni incalcolabili, senza escludere, inoltre, casi di emulazione. D’altra parte, vengono enfatizzati e, di fatto, indicati come modelli di vita, i vari comportamenti di quella minoranza di persone che detengono, invece, la maggior parte dei beni disponibili: si assiste, così, ad una continua passerella di abitazioni sontuose, di autovetture ed imbarcazioni lussuose, di feste megalattiche, di abiti sfarzosi ed, in genere, di modalità di vita, basate esclusivamente sulla ricerca smodata e senza limiti del godimento fine a se stesso, con l’esaltazione di tutto ciò che è apparentemente bello e, pertanto, va posseduto, facendo prevalere, pertanto, il culto dell’avere su quello dell’essere. Tutto ciò, senza determinare od accentuare quella profonda ingiustizia esistente nella distribuzione delle ricchezze, causa non ultima, come da molti fondatamente sostenuto, del fenomeno del terrorismo (è lecito, infatti, ipotizzare che tale fenomeno non esisterebbe in presenza di una vera giustizia sociale), non fa altro che produrre, da un lato, il desiderio di raggiungere ad ogni costo tali modelli di vita, mentre, dall’altro, sentimenti di odio di classe, alimentati dalla provocazione, se non da vero e proprio scandalo, che quelle “notizie” suscitano in quanti, in varie parti del mondo, non hanno il minimo per sopravvivere. L'altro settore che ha registrato un'enorme evoluzione tecnologica è quello della comunicazione interpersonale.